Zingonia è il futuro

Testo e fotografie di Thomas Pololi


“Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. […] Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi.”
da Il libro dell’inquietudine, di Fernando Pessoa

Ciserano, inizio anni ’60. Sulla Francesca, la strada che taglia in due il paese e che anticamente congiungeva Milano e Aquileia, viene eretto un enorme cartello. Un uomo illustrato, giacca e cravatta, capelli e baffi chiari, indica una scritta: “Qui nasce Zingonia, la nuova città”. Quello che oggi gli esperti di comunicazione chiamerebbero un “teaser”, un’anticipazione di qualcosa che sta per arrivare ma ancora non si sa cos’è.

Pochi anni dopo Zingonia esiste. “È una città. Una città nuova di zecca. L’ultima nata in Italia, costruita dal nulla. […] Quando sarà finita, fra quattro o cinque anni, potrà ospitare 50.000 abitanti, lo stesso numero su cui è stata progettata Brasilia”, dice un enfatico servizio RAI, accompagnato da meravigliose riprese della città e dei suoi modernissimi spazi. Il futuro. A idearlo Renzo Zingone, un visionario, un imprenditore, un Olivetti dell’edilizia, che però non somiglia all’uomo del cartello: è un signore di mezza età, calvo, l’accento romano mascherato da un tono quasi robotico. Pronuncia le parole “stabilimenti”, “comodità”, “prospettive”, da bravo venditore di un prodotto, di una brochure bancaria, ma fatta di cemento, strade, capannoni che stravolgeranno per sempre l’identità del territorio.
Sono passati cinquant’anni e i termini con cui Zingonia viene descritta sui media non sono più gli stessi: “le torri del degrado”, “da polo residenziale a suk”, “cumuli di rifiuti e spaccio a cielo aperto”, “disperazione”, “paura”.

I più illuminati guardano al passato e danno la colpa al masterplan originale, che prevedeva una città divisa su cinque comuni e dunque praticamente ingovernabile. Il pensiero condiviso da gran parte del popolo è più salviniano: “Zingonia fa schifo, tutto da buttar giù”. Gli stranieri, “i musulmani”, “i marocchini”, tutti a casa.
Ma avvicinandoci alle spaventosissime torri, entrando nei bar, nelle case, nelle scuole, abbiamo scoperto che anche se l’utopia di Zingone è fallita, oggi Zingonia è un laboratorio sociale complesso e sorprendente: e se avrà l’attenzione che merita, potrebbe diventare una delle prime molecole del futuro di Bergamo. E non solo.

Barbara 1 – Palazzo che si affaccia su Piazza Affari

Fu costruito nel 1969, anno dell’allunaggio dell’Apollo 11.
“Il “Barbara 1” era il clou di Zingonia: un palazzo destinato ai dirigenti delle aziende, con soluzioni avveniristiche per l’epoca: tutti gli appartamenti avevano una porticina dove infilavi il sacchetto della pattumiera. E poi qui intorno c’erano servizi, c’era il verde, c’era il tennis club dove venivano attori e personaggi famosi da tutta Italia, c’erano le serate danzanti del Bar Piccadilly, ci racconta Roberta Galluzzo, che è arrivata qui nel 1992.

Il Barbara 1 oggi è abitato da un centinaio di condomini, quasi tutti stranieri: senegalesi, pakistani, marocchini, qualche indiano e nigeriano. In pochi pagano le bollette e il mutuo. Ma i guai sono iniziati con gli inquilini degli attici, tutti e due morosi e di nazionalità italiana: “Quando la signora è andata fuori di casa le ho gridato «Barbona vai fuori dai coglioni!» dal balcone, eh figaro, trentamila euro di mutuo non pagato aveva lasciato”. E ora? “Dobbiamo andare a bussare casa per casa, a volte chiedi dieci euro e ti dicono che non ce li hanno, son dentro in venti, lavorano tutti e non hanno dieci euro! È una battaglia quotidiana”.

Qualche anno fa per 20 giorni è stata tolta l’acqua, “Ero disperata, non sapevo come fare. Loro, le donne africane, andavano alla fontanella pubblica e si caricavano tranquillamente venti litri sulla testa ma io non ce la facevo”. Roberta vive al settimo piano, e deve per forza arrivarci a piedi perché dal gennaio del 2004 l’ascensore non funziona: “Mia mamma sono undici anni che non viene qua”.

Sempre nel 2004, un giorno le arriva una lettera dalla società che gestisce il gas: per il “principio di solidarietà” (legge rimasta in vigore fino al 2013) avrebbe dovuto pagare lei i 36.000 euro di bollette arretrate del condominio, pena il pignoramento della casa. Roberta ingaggia una battaglia legale, coinvolge l’Eco di Bergamo, l’articolo esce in prima pagina, lei la fotocopia e la manda a tutte le testate nazionali. Scrive a Scalfaro, riesce a contattare il ministro Castelli, il Senatore Valerio Carrara (IdV) va a casa sua. Tira in piedi un casino tale che alla fine la società del gas rinuncia a rivalersi su di lei, madre single con una figlia minorenne a carico: “Dalla sede francese hanno capito che umanamente avevano toppato”. Roberta, comunque, esce da tutta la vicenda provatissima: “Ci ho rimesso personalmente, mia figlia era esaurita, il mio fidanzato se n’è andato, loro davano la mia battaglia per persa”.

Anche oggi, con l’assegno di disoccupazione in scadenza a maggio, Roberta continua a lottare per sé, per il condominio e per Zingonia. È stata lei a contattare la cooperativa che gestisce il progetto “Zingonia 3.0”, che con la collaborazione di tante persone tra cui Maurizio Bianzini, amministratore di condominio impegnato nel sociale, e Giuseppe Maci, sindaco di Verdellino, ha lanciato un progetto di recupero partecipato del condominio: con l’aiuto di alcune imprese della zona e la collaborazione di molti inquilini, sia italiani che stranieri, sono stati aggiustati i citofoni, la porta, sostituiti i vetri rotti, reimbiancate le pareti. Salendo le scale abbiamo incontrato Madiop Mbaye, Mussa Diop, Kane Papa, Nyang Pathem, Diop Mustapha, senegalesi, e Rizwan Butt, pakistano che vive al quinto piano e somiglia un po’ a Giovanni Lindo Ferretti. Ci ha fatto entrare in casa e offerto del tè cremoso mentre alla tv davano soap indiane. Non abbiamo parlato tantissimo, però abbiamo capito che era un tipo di una tranquillità estrema. Un estremista della tranquillità.

Signora Rito – 72 anni, ex proprietaria dell’albergo Piccadilly

La casa della signora Giovanna Rito, al secondo piano del palazzo Barbara 1, è una bolla dentro il mondo di Zingonia. Un appartamento curatissimo, completamente ristrutturato: i due balconi, trasformati in verande chiuse (“Così posso stare tranquilla anche con quelli di sopra che buttano giù di tutto”), ricordano un po’ gli ambienti delle case inglesi, con piante, sedie e tavolini da tè. La signora Rito e suo marito Osvaldo Trottolo, tarantini, sono arrivati qui nel 1971: “Mio marito lavorava già in un albergo a Napoli e gli fecero la proposta di diventare direttore del Piccadilly. Quando vidi questo viale stupendo, pulito, gli alberi bassi, un verde che nelle città non si vede, io mi innamorai subito”. Si trasferirono e dopo pochi anni acquistarono l’albergo, il bar e due appartamenti, in blocco: “Allora si facevano le cambiali”.

La signora Giovanna ci mostra alcune foto di una giornata di metà anni ’70 in cui posa con il suo cagnetto di allora, “Bimba”, all’interno dell’albergo; immagino le moquette e le tappezzerie optical sbiadire e venire sostituite da più sobri parquet, piastrelle e tessuti con motivi floreali che compaiono in un volantino degli anni ’90. Infine, nel 2006, è la signora Rito a sparire dalle foto: otto anni fa albergo, bar e appartamenti sono stati venduti a degli egiziani. Ma lei non è riuscita ad andare via da Zingonia: “Ho visitato appartamenti anche da altre parti ma non erano belli come questi. E poi mi sentivo un’estranea”. La signora Rito partecipa ai lavori di sistemazione del Barbara 1 al fianco degli altri condomini, sembra fiduciosa nel futuro: “Le cose cambieranno, adesso iniziamo a fare le cose piccole, un po’ per volta”.

Zingogang – duo hiphop

“Ci conosciamo fin da piccoli, siamo nati tutti e due il 2 febbraio. Tra pochi giorni faremo 20 anni”, racconta Mr. Tao, uno dei due membri della Zingogang, gruppo hip hop che spopola a Zingonia ma anche su YouTube.

Tutti qui li conoscono e li ascoltano, dagli spacciatori ai ragazzi che frequentano la scuola di Verdellino-Zingonia (nella classifica personale di Amin, uno dei figli di Kacem – di cui si parla più avanti -, la Zingogang è al primo posto davanti a Fibra e Emis Killa).
Mr. Tao (Redion Gangi) ricorda un po’ Gué Pequeno ma è più simpatico, M-Boss (Mohamed Sy) è un ragazzo dagli occhi timidi e ci tiene a non essere accomunato a Bello Figo Gu: i suoi testi sono decisamente meglio (es. “Più spacco e più mi odi / Negro al 100% / Svizzero? / No, Novi”).

Li incontriamo al bar Silver e chiacchieriamo del più e del meno, dagli Illuminati che secondo loro governano il mondo ai progetti per il futuro. L’approccio alla musica è iper-imprenditoriale e consapevole: Lorenzo, loro amico e manager, spiega che l’obiettivo della Zingogang è arrivare al successo ma senza compromessi e senza rinunciare all’identità di zingoniesi, e sa benissimo che non sarà facile. I video delle canzoni alternano a momenti di classico immaginario hip-hop (soldi club pistole macchinone ragazze etc.) scene di vita di gruppo un po’ gangsta e un po’ tenere.

Redion, Mohamed e Lorenzo non hanno problemi ad ammettere di essere dei ragazzi tranquilli. “Per noi l’amicizia è tutto. Zingonia ci ha resi uomini, ci ha fatto crescere, è anche merito della multicultura. Noi siamo stretti, uniti come una famiglia. E quando sbucheremo potremo dire che ci siamo fatti da soli in un paese dove c’era la crisi”.

Alberto – 44 anni, insegnante di religione

Da sette anni Alberto Daminelli insegna storia della religione alla scuola media di Verdellino-Zingonia. Siamo andati a trovarlo dopo aver letto del suo progetto “Molte fedi sotto il cielo di Zingonia”, in cui gli alunni della scuola, che ha una delle percentuali di ragazzi stranieri più alte in Italia (il 45%), hanno costruito i modellini dei luoghi di culto di molte religioni del mondo. Le piccole chiese/pagode/moschee/templi sono esposte nell’atrio. “È uno dei modi che uso per favorire il dialogo e coinvolgere tutti i ragazzi, soprattutto i musulmani. I loro genitori all’inizio vedevano l’ora di religione come un momento d’indottrinamento, ma poi sono riuscito a convincerli a rimanere in classe, ovviamente se la lezione non è all’ultima ora”, ride. Alberto è una persona di estrema sensibilità, capace di farsi carico delle contraddizioni che emergono ogni giorno lavorando con classi miste. Mi sfiora un pensiero quasi utilitaristico: umani come lui sono necessari perché, come degli airbag, riescono ad assorbire gli urti inevitabili tra diverse culture, e attutirne il dolore. Durante la conversazione affrontiamo anche un tema ostico, quello della condizione delle donne musulmane, e di come viene vissuta in classe.

“Da parte delle ragazze italiane c’è rispetto e solidarietà verso le ragazze musulmane. Non ho mai capito se dall’altra parte questa solidarietà viene vissuta come pietà… Vedo i loro occhi, a me piace guardare le relazioni delle persone negli occhi, da una parte c’è rispetto, dall’altra penso… Se avessero la possibilità di togliersi il velo se lo toglierebbero subito”. Ma esiste una soluzione? “Io penso che anche l’Islam prima o poi attraverserà un processo come quello attraversato dal cattolicesimo con l’Illuminismo, noi possiamo solo aspettare”.

Don Alberto – 38 anni, curato

“Una volta dicevo «Vorrei andare in missione», e ci sono arrivato, anche se non sono andato lontano”, ride Don Alberto, di Dalmine (frazione di Sforzatica Santa Maria), dal 2011 curato di Zingonia.

“Quando m’han detto che mi avrebbero trasferito qui sinceramente non ho pensato a nulla, se non che ci passavo tutti i sabati con la moto. Non avevo pregiudizi; solo mio papà era un po’ preoccupato vista la fama del paese”. Invece “l’accoglienza è stata molto calorosa, anche perché Zingonia è molto diversa da Verdellino, che è un classico paese bergamasco. I parrocchiani vengono quasi tutti dal sud Italia, sono arrivati negli anni ’60, con la prima ondata di immigrazione”.
E con i musulmani che rapporto c’è? “Non c’è molto contatto. Non ci vediamo con gli Imam, però in parrocchia cerchiamo di essere aperti al dialogo interreligioso, per esempio ora forse faremo un corso di arabo. Sono operazioni che bisogna sempre condurre con grande sensibilità e attenzione”.

Don Alberto è un personaggio incatalogabile: un po’ Grande Lebowski un po’ biker (ha un’Harley Davidson che sta facendo aerografare, ci fa vedere al computer i layout della scritta “God Bless You”), conduce un’esistenza fatta di emozioni molto intense, come quando visita le case del posto “che ricordano le baraccopoli del Sudafrica o della Colombia, dove ho fatto esperienze in passato”, alternate anche a momenti di vuoto e solitudine, soprattutto dopo una certa ora: “Il primo giorno qui me lo ricordo bene: ero arrivato da Romano di Lombardia, dove all’oratorio c’è sempre un viavai di persone, a un quarto alle nove sono uscito a fumare una sigaretta. Il deserto. Ho pensato «E adesso che faccio?».

Kacem – 44 anni, barista

Il bar Marrakech affaccia su Piazza Affari, quella che una volta era il “ritrovo chic” di Zingonia. Kacem, il barista, ci ha accolto da subito con un gran sorriso e ci ha offerto diversi bicchieri di buonissimo tè alla menta. “Ho capito subito che siete giornalisti”, ci ha detto, “Qui entra un italiano ogni sedici giorni. E di solito è uno della Finanza”. Kacem è un gran parlatore, la sua famiglia, ci racconta, è importante a Fès, una famiglia con una tradizione di sinistra. “Abbiamo la politica nel DNA: mio fratello è un membro del «Partito Democratico» del Marocco”, l’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP). “Nel 1990 di notte appendevo manifesti per le strade e ho partecipato allo sciopero generale contro il governo. Abbiamo bruciato tutta la città, un casino. Sono stato in prigione tre giorni, mi hanno riempito di botte. Rischiavo 15 anni”.

Kacem è in Italia dal 1995 e ha sempre lavorato nell’edilizia come libero professionista, “Avevo seminato un buon raccolto, poi nel 2008 è arrivata la grandine”, cioè la crisi, “e allora per non rimanere a casa ho deciso di prendere il bar. Ma vorrei tornare a fare il mio lavoro, gestire le persone che vengono qui è faticoso, ci sono anche quelli che sputano per terra, succede davvero, io mi vergogno. Vorrei che tutti si comportassero in modo civile”. Kacem abita in una delle “quattro torri”; ci ha invitato a casa sua, dove abbiamo conosciuto tutta la famiglia: la moglie Karima, i figli Amin, Youssef, Najwa, Maryem, Nisrin. Anche se mancava il riscaldamento c’era molto calore. “L’anno scorso siamo tornati in Marocco con l’intenzione di restarci. Ma ai ragazzi non piaceva, non volevano vivere lì, e io penso che sia giusto far decidere a loro, l’unica cosa che si può fare è guidarli con il buon esempio”.

Conclusione – Un’intervista a Renzo Zingone del 1973

“Il bilancio dei primi dieci anni si chiude in maniera decisamente favorevole e l’ottimismo che ha guidato l’iniziativa di Zingonia in partenza è ancor più rafforzato.

Il successo di Zingonia va ricercato nell’aver avuto la capacità e la forza di essere riusciti a concentrare in un’unica zona, in un arco di tempo breve, una così grande quantità di industrie e commerci. La sua unicità consiste nell’essere stata integralmente studiata, promossa e realizzata da un privato, sia negli aspetti tecnici, e – soprattutto – in quelli economici. La ZIF (Zingone Iniziative Fondiarie), la società iniziatrice di Zingonia, ha corso il rischio integrale dell’operazione, senza ricorso al denaro pubblico.

L’obiettivo era stato quello di creare, in una zona d’Italia depressa, una trasformazione radicale: da una zona a prevalenza agricola a zona industriale e commerciale; e le finalità della creazione di Zingonia si possono ricondurre a tre punti fondamentali:
–           combattere il pendolarismo, uno dei peggiori mali del secolo. L’idea era quella della casa-lavoro, ovvero mettere il lavoratore in condizione di avere il lavoro vicino alla sua abitazione. E, in effetti, oggi a Zingonia molti vanno al lavoro semplicemente attraversando la strada o affluendovi dai paesi vicini.
–           creare nuovi posti di lavoro solidi e duraturi, nella misura di decine di migliaia, trasformando così un’area economicamente depressa in una zona vivace e attiva, e questo è un fattore di grande importanza sociale.
–           realizzare un’enorme quantità d’infrastrutture e di opere pubbliche (rete stradale, fognaria, acquedotto, illuminazione stradale, fontane, ecc.) predisposte per un’intera città di 50 mila abitanti, che poi rimarrà in eredità ai comuni sui quali poggia il territorio di Zingonia.

Sebbene i traguardi del progetto non siano stati integralmente raggiunti – dovuto ai problemi rappresentati delle innumerevoli crisi che si son succedute in Italia in questi dieci anni e delle divergenze politiche dei cinque comuni sui quali poggia il terreno – Zingonia resta un’iniziativa unica nel suo genere, che non trova riscontro né in Italia né in Europa, né in altre parti del globo.”

[testo estratto da Zingonia, la nuova città]

Per approfondire

Zingonia, la nuova città – testo originale edito dalla Zingonia Iniziative Fondiarie nel 1965, riedito nel 2014 da Argot ou la Maison Mobile e Marco Biraghi
G. Sinatti, Zingonia, Vecchi e nuovi abitanti, vecchie e nuove questioni, consultabile online su Academia.edu
G. Sinatti, Città senegalesi: il caso di Zingonia, in Afriche e Orienti, n.3, 2005, pp. 27-40
Zingonia a venti anni dalla fondazione, Riunione Immobiliare spa, Ferrari, Clusone, 1986
L. Airaldi, Renzo Zingone, Due casi di pianificazione urbanistica provata: il quartiere Zingone di Trezzano sul Naviglio e Zingonia, in Storia Urbana, n. 15, 1981, pp. 91-130
 

Il pensiero condiviso da gran parte del popolo è più salviniano: “Zingonia fa schifo, tutto da buttar giù”. Gli stranieri, “i musulmani”, “i marocchini”, tutti a casa.
Il Barbara 1 oggi è abitato da un centinaio di condomini, quasi tutti stranieri: senegalesi, pakistani, marocchini, qualche indiano e nigeriano. In pochi pagano le bollette e il mutuo. Ma i guai sono iniziati con gli inquilini degli attici, tutti e due morosi e di nazionalità italiana.
"Quando vidi questo viale stupendo, pulito, gli alberi bassi, un verde che nelle città non si vede, io mi innamorai subito”
Tutti qui li conoscono e li ascoltano, dagli spacciatori ai ragazzi che frequentano la scuola di Verdellino-Zingonia.
Gli alunni della scuola, che ha una delle percentuali di ragazzi stranieri più alte in Italia (il 45%), hanno costruito i modellini dei luoghi di culto di molte religioni del mondo.
“Una volta dicevo «Vorrei andare in missione», e ci sono arrivato, anche se non sono andato lontano”
Kacem è in Italia dal 1995 e ha sempre lavorato nell’edilizia come libero professionista, “Avevo seminato un buon raccolto, poi nel 2008 è arrivata la grandine”


“Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. […] Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi.”
da Il libro dell’inquietudine, di Fernando Pessoa

Ciserano, inizio anni ’60. Sulla Francesca, la strada che taglia in due il paese e che anticamente congiungeva Milano e Aquileia, viene eretto un enorme cartello. Un uomo illustrato, giacca e cravatta, capelli e baffi chiari, indica una scritta: “Qui nasce Zingonia, la nuova città”. Quello che oggi gli esperti di comunicazione chiamerebbero un “teaser”, un’anticipazione di qualcosa che sta per arrivare ma ancora non si sa cos’è.

Pochi anni dopo Zingonia esiste. “È una città. Una città nuova di zecca. L’ultima nata in Italia, costruita dal nulla. […] Quando sarà finita, fra quattro o cinque anni, potrà ospitare 50.000 abitanti, lo stesso numero su cui è stata progettata Brasilia”, dice un enfatico servizio RAI, accompagnato da meravigliose riprese della città e dei suoi modernissimi spazi. Il futuro. A idearlo Renzo Zingone, un visionario, un imprenditore, un Olivetti dell’edilizia, che però non somiglia all’uomo del cartello: è un signore di mezza età, calvo, l’accento romano mascherato da un tono quasi robotico. Pronuncia le parole “stabilimenti”, “comodità”, “prospettive”, da bravo venditore di un prodotto, di una brochure bancaria, ma fatta di cemento, strade, capannoni che stravolgeranno per sempre l’identità del territorio.
Sono passati cinquant’anni e i termini con cui Zingonia viene descritta sui media non sono più gli stessi: “le torri del degrado”, “da polo residenziale a suk”, “cumuli di rifiuti e spaccio a cielo aperto”, “disperazione”, “paura”.

Il pensiero condiviso da gran parte del popolo è più salviniano: “Zingonia fa schifo, tutto da buttar giù”. Gli stranieri, “i musulmani”, “i marocchini”, tutti a casa.

I più illuminati guardano al passato e danno la colpa al masterplan originale, che prevedeva una città divisa su cinque comuni e dunque praticamente ingovernabile. Il pensiero condiviso da gran parte del popolo è più salviniano: “Zingonia fa schifo, tutto da buttar giù”. Gli stranieri, “i musulmani”, “i marocchini”, tutti a casa.
Ma avvicinandoci alle spaventosissime torri, entrando nei bar, nelle case, nelle scuole, abbiamo scoperto che anche se l’utopia di Zingone è fallita, oggi Zingonia è un laboratorio sociale complesso e sorprendente: e se avrà l’attenzione che merita, potrebbe diventare una delle prime molecole del futuro di Bergamo. E non solo.

Barbara 1 – Palazzo che si affaccia su Piazza Affari

Fu costruito nel 1969, anno dell’allunaggio dell’Apollo 11.
“Il “Barbara 1” era il clou di Zingonia: un palazzo destinato ai dirigenti delle aziende, con soluzioni avveniristiche per l’epoca: tutti gli appartamenti avevano una porticina dove infilavi il sacchetto della pattumiera. E poi qui intorno c’erano servizi, c’era il verde, c’era il tennis club dove venivano attori e personaggi famosi da tutta Italia, c’erano le serate danzanti del Bar Piccadilly, ci racconta Roberta Galluzzo, che è arrivata qui nel 1992.

Il Barbara 1 oggi è abitato da un centinaio di condomini, quasi tutti stranieri: senegalesi, pakistani, marocchini, qualche indiano e nigeriano. In pochi pagano le bollette e il mutuo. Ma i guai sono iniziati con gli inquilini degli attici, tutti e due morosi e di nazionalità italiana: “Quando la signora è andata fuori di casa le ho gridato «Barbona vai fuori dai coglioni!» dal balcone, eh figaro, trentamila euro di mutuo non pagato aveva lasciato”. E ora? “Dobbiamo andare a bussare casa per casa, a volte chiedi dieci euro e ti dicono che non ce li hanno, son dentro in venti, lavorano tutti e non hanno dieci euro! È una battaglia quotidiana”.

Qualche anno fa per 20 giorni è stata tolta l’acqua, “Ero disperata, non sapevo come fare. Loro, le donne africane, andavano alla fontanella pubblica e si caricavano tranquillamente venti litri sulla testa ma io non ce la facevo”. Roberta vive al settimo piano, e deve per forza arrivarci a piedi perché dal gennaio del 2004 l’ascensore non funziona: “Mia mamma sono undici anni che non viene qua”.

Il Barbara 1 oggi è abitato da un centinaio di condomini, quasi tutti stranieri: senegalesi, pakistani, marocchini, qualche indiano e nigeriano. In pochi pagano le bollette e il mutuo. Ma i guai sono iniziati con gli inquilini degli attici, tutti e due morosi e di nazionalità italiana.

Sempre nel 2004, un giorno le arriva una lettera dalla società che gestisce il gas: per il “principio di solidarietà” (legge rimasta in vigore fino al 2013) avrebbe dovuto pagare lei i 36.000 euro di bollette arretrate del condominio, pena il pignoramento della casa. Roberta ingaggia una battaglia legale, coinvolge l’Eco di Bergamo, l’articolo esce in prima pagina, lei la fotocopia e la manda a tutte le testate nazionali. Scrive a Scalfaro, riesce a contattare il ministro Castelli, il Senatore Valerio Carrara (IdV) va a casa sua. Tira in piedi un casino tale che alla fine la società del gas rinuncia a rivalersi su di lei, madre single con una figlia minorenne a carico: “Dalla sede francese hanno capito che umanamente avevano toppato”. Roberta, comunque, esce da tutta la vicenda provatissima: “Ci ho rimesso personalmente, mia figlia era esaurita, il mio fidanzato se n’è andato, loro davano la mia battaglia per persa”.

Anche oggi, con l’assegno di disoccupazione in scadenza a maggio, Roberta continua a lottare per sé, per il condominio e per Zingonia. È stata lei a contattare la cooperativa che gestisce il progetto “Zingonia 3.0”, che con la collaborazione di tante persone tra cui Maurizio Bianzini, amministratore di condominio impegnato nel sociale, e Giuseppe Maci, sindaco di Verdellino, ha lanciato un progetto di recupero partecipato del condominio: con l’aiuto di alcune imprese della zona e la collaborazione di molti inquilini, sia italiani che stranieri, sono stati aggiustati i citofoni, la porta, sostituiti i vetri rotti, reimbiancate le pareti. Salendo le scale abbiamo incontrato Madiop Mbaye, Mussa Diop, Kane Papa, Nyang Pathem, Diop Mustapha, senegalesi, e Rizwan Butt, pakistano che vive al quinto piano e somiglia un po’ a Giovanni Lindo Ferretti. Ci ha fatto entrare in casa e offerto del tè cremoso mentre alla tv davano soap indiane. Non abbiamo parlato tantissimo, però abbiamo capito che era un tipo di una tranquillità estrema. Un estremista della tranquillità.

Signora Rito – 72 anni, ex proprietaria dell’albergo Piccadilly

La casa della signora Giovanna Rito, al secondo piano del palazzo Barbara 1, è una bolla dentro il mondo di Zingonia. Un appartamento curatissimo, completamente ristrutturato: i due balconi, trasformati in verande chiuse (“Così posso stare tranquilla anche con quelli di sopra che buttano giù di tutto”), ricordano un po’ gli ambienti delle case inglesi, con piante, sedie e tavolini da tè. La signora Rito e suo marito Osvaldo Trottolo, tarantini, sono arrivati qui nel 1971: “Mio marito lavorava già in un albergo a Napoli e gli fecero la proposta di diventare direttore del Piccadilly. Quando vidi questo viale stupendo, pulito, gli alberi bassi, un verde che nelle città non si vede, io mi innamorai subito”. Si trasferirono e dopo pochi anni acquistarono l’albergo, il bar e due appartamenti, in blocco: “Allora si facevano le cambiali”.

La signora Giovanna ci mostra alcune foto di una giornata di metà anni ’70 in cui posa con il suo cagnetto di allora, “Bimba”, all’interno dell’albergo; immagino le moquette e le tappezzerie optical sbiadire e venire sostituite da più sobri parquet, piastrelle e tessuti con motivi floreali che compaiono in un volantino degli anni ’90. Infine, nel 2006, è la signora Rito a sparire dalle foto: otto anni fa albergo, bar e appartamenti sono stati venduti a degli egiziani. Ma lei non è riuscita ad andare via da Zingonia: “Ho visitato appartamenti anche da altre parti ma non erano belli come questi. E poi mi sentivo un’estranea”. La signora Rito partecipa ai lavori di sistemazione del Barbara 1 al fianco degli altri condomini, sembra fiduciosa nel futuro: “Le cose cambieranno, adesso iniziamo a fare le cose piccole, un po’ per volta”.

“Quando vidi questo viale stupendo, pulito, gli alberi bassi, un verde che nelle città non si vede, io mi innamorai subito”

Zingogang – duo hiphop

“Ci conosciamo fin da piccoli, siamo nati tutti e due il 2 febbraio. Tra pochi giorni faremo 20 anni”, racconta Mr. Tao, uno dei due membri della Zingogang, gruppo hip hop che spopola a Zingonia ma anche su YouTube.

Tutti qui li conoscono e li ascoltano, dagli spacciatori ai ragazzi che frequentano la scuola di Verdellino-Zingonia (nella classifica personale di Amin, uno dei figli di Kacem – di cui si parla più avanti -, la Zingogang è al primo posto davanti a Fibra e Emis Killa).
Mr. Tao (Redion Gangi) ricorda un po’ Gué Pequeno ma è più simpatico, M-Boss (Mohamed Sy) è un ragazzo dagli occhi timidi e ci tiene a non essere accomunato a Bello Figo Gu: i suoi testi sono decisamente meglio (es. “Più spacco e più mi odi / Negro al 100% / Svizzero? / No, Novi”).

Tutti qui li conoscono e li ascoltano, dagli spacciatori ai ragazzi che frequentano la scuola di Verdellino-Zingonia.

Li incontriamo al bar Silver e chiacchieriamo del più e del meno, dagli Illuminati che secondo loro governano il mondo ai progetti per il futuro. L’approccio alla musica è iper-imprenditoriale e consapevole: Lorenzo, loro amico e manager, spiega che l’obiettivo della Zingogang è arrivare al successo ma senza compromessi e senza rinunciare all’identità di zingoniesi, e sa benissimo che non sarà facile. I video delle canzoni alternano a momenti di classico immaginario hip-hop (soldi club pistole macchinone ragazze etc.) scene di vita di gruppo un po’ gangsta e un po’ tenere.

Redion, Mohamed e Lorenzo non hanno problemi ad ammettere di essere dei ragazzi tranquilli. “Per noi l’amicizia è tutto. Zingonia ci ha resi uomini, ci ha fatto crescere, è anche merito della multicultura. Noi siamo stretti, uniti come una famiglia. E quando sbucheremo potremo dire che ci siamo fatti da soli in un paese dove c’era la crisi”.

Alberto – 44 anni, insegnante di religione

Da sette anni Alberto Daminelli insegna storia della religione alla scuola media di Verdellino-Zingonia. Siamo andati a trovarlo dopo aver letto del suo progetto “Molte fedi sotto il cielo di Zingonia”, in cui gli alunni della scuola, che ha una delle percentuali di ragazzi stranieri più alte in Italia (il 45%), hanno costruito i modellini dei luoghi di culto di molte religioni del mondo. Le piccole chiese/pagode/moschee/templi sono esposte nell’atrio. “È uno dei modi che uso per favorire il dialogo e coinvolgere tutti i ragazzi, soprattutto i musulmani. I loro genitori all’inizio vedevano l’ora di religione come un momento d’indottrinamento, ma poi sono riuscito a convincerli a rimanere in classe, ovviamente se la lezione non è all’ultima ora”, ride. Alberto è una persona di estrema sensibilità, capace di farsi carico delle contraddizioni che emergono ogni giorno lavorando con classi miste. Mi sfiora un pensiero quasi utilitaristico: umani come lui sono necessari perché, come degli airbag, riescono ad assorbire gli urti inevitabili tra diverse culture, e attutirne il dolore. Durante la conversazione affrontiamo anche un tema ostico, quello della condizione delle donne musulmane, e di come viene vissuta in classe.

Gli alunni della scuola, che ha una delle percentuali di ragazzi stranieri più alte in Italia (il 45%), hanno costruito i modellini dei luoghi di culto di molte religioni del mondo.

“Da parte delle ragazze italiane c’è rispetto e solidarietà verso le ragazze musulmane. Non ho mai capito se dall’altra parte questa solidarietà viene vissuta come pietà… Vedo i loro occhi, a me piace guardare le relazioni delle persone negli occhi, da una parte c’è rispetto, dall’altra penso… Se avessero la possibilità di togliersi il velo se lo toglierebbero subito”. Ma esiste una soluzione? “Io penso che anche l’Islam prima o poi attraverserà un processo come quello attraversato dal cattolicesimo con l’Illuminismo, noi possiamo solo aspettare”.

Don Alberto – 38 anni, curato

“Una volta dicevo «Vorrei andare in missione», e ci sono arrivato, anche se non sono andato lontano”, ride Don Alberto, di Dalmine (frazione di Sforzatica Santa Maria), dal 2011 curato di Zingonia.

“Quando m’han detto che mi avrebbero trasferito qui sinceramente non ho pensato a nulla, se non che ci passavo tutti i sabati con la moto. Non avevo pregiudizi; solo mio papà era un po’ preoccupato vista la fama del paese”. Invece “l’accoglienza è stata molto calorosa, anche perché Zingonia è molto diversa da Verdellino, che è un classico paese bergamasco. I parrocchiani vengono quasi tutti dal sud Italia, sono arrivati negli anni ’60, con la prima ondata di immigrazione”.
E con i musulmani che rapporto c’è? “Non c’è molto contatto. Non ci vediamo con gli Imam, però in parrocchia cerchiamo di essere aperti al dialogo interreligioso, per esempio ora forse faremo un corso di arabo. Sono operazioni che bisogna sempre condurre con grande sensibilità e attenzione”.

“Una volta dicevo «Vorrei andare in missione», e ci sono arrivato, anche se non sono andato lontano”

Don Alberto è un personaggio incatalogabile: un po’ Grande Lebowski un po’ biker (ha un’Harley Davidson che sta facendo aerografare, ci fa vedere al computer i layout della scritta “God Bless You”), conduce un’esistenza fatta di emozioni molto intense, come quando visita le case del posto “che ricordano le baraccopoli del Sudafrica o della Colombia, dove ho fatto esperienze in passato”, alternate anche a momenti di vuoto e solitudine, soprattutto dopo una certa ora: “Il primo giorno qui me lo ricordo bene: ero arrivato da Romano di Lombardia, dove all’oratorio c’è sempre un viavai di persone, a un quarto alle nove sono uscito a fumare una sigaretta. Il deserto. Ho pensato «E adesso che faccio?».

Kacem – 44 anni, barista

Il bar Marrakech affaccia su Piazza Affari, quella che una volta era il “ritrovo chic” di Zingonia. Kacem, il barista, ci ha accolto da subito con un gran sorriso e ci ha offerto diversi bicchieri di buonissimo tè alla menta. “Ho capito subito che siete giornalisti”, ci ha detto, “Qui entra un italiano ogni sedici giorni. E di solito è uno della Finanza”. Kacem è un gran parlatore, la sua famiglia, ci racconta, è importante a Fès, una famiglia con una tradizione di sinistra. “Abbiamo la politica nel DNA: mio fratello è un membro del «Partito Democratico» del Marocco”, l’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP). “Nel 1990 di notte appendevo manifesti per le strade e ho partecipato allo sciopero generale contro il governo. Abbiamo bruciato tutta la città, un casino. Sono stato in prigione tre giorni, mi hanno riempito di botte. Rischiavo 15 anni”.

Kacem è in Italia dal 1995 e ha sempre lavorato nell’edilizia come libero professionista, “Avevo seminato un buon raccolto, poi nel 2008 è arrivata la grandine”

Kacem è in Italia dal 1995 e ha sempre lavorato nell’edilizia come libero professionista, “Avevo seminato un buon raccolto, poi nel 2008 è arrivata la grandine”, cioè la crisi, “e allora per non rimanere a casa ho deciso di prendere il bar. Ma vorrei tornare a fare il mio lavoro, gestire le persone che vengono qui è faticoso, ci sono anche quelli che sputano per terra, succede davvero, io mi vergogno. Vorrei che tutti si comportassero in modo civile”. Kacem abita in una delle “quattro torri”; ci ha invitato a casa sua, dove abbiamo conosciuto tutta la famiglia: la moglie Karima, i figli Amin, Youssef, Najwa, Maryem, Nisrin. Anche se mancava il riscaldamento c’era molto calore. “L’anno scorso siamo tornati in Marocco con l’intenzione di restarci. Ma ai ragazzi non piaceva, non volevano vivere lì, e io penso che sia giusto far decidere a loro, l’unica cosa che si può fare è guidarli con il buon esempio”.

Conclusione – Un’intervista a Renzo Zingone del 1973

“Il bilancio dei primi dieci anni si chiude in maniera decisamente favorevole e l’ottimismo che ha guidato l’iniziativa di Zingonia in partenza è ancor più rafforzato.

Il successo di Zingonia va ricercato nell’aver avuto la capacità e la forza di essere riusciti a concentrare in un’unica zona, in un arco di tempo breve, una così grande quantità di industrie e commerci. La sua unicità consiste nell’essere stata integralmente studiata, promossa e realizzata da un privato, sia negli aspetti tecnici, e – soprattutto – in quelli economici. La ZIF (Zingone Iniziative Fondiarie), la società iniziatrice di Zingonia, ha corso il rischio integrale dell’operazione, senza ricorso al denaro pubblico.

L’obiettivo era stato quello di creare, in una zona d’Italia depressa, una trasformazione radicale: da una zona a prevalenza agricola a zona industriale e commerciale; e le finalità della creazione di Zingonia si possono ricondurre a tre punti fondamentali:
–           combattere il pendolarismo, uno dei peggiori mali del secolo. L’idea era quella della casa-lavoro, ovvero mettere il lavoratore in condizione di avere il lavoro vicino alla sua abitazione. E, in effetti, oggi a Zingonia molti vanno al lavoro semplicemente attraversando la strada o affluendovi dai paesi vicini.
–           creare nuovi posti di lavoro solidi e duraturi, nella misura di decine di migliaia, trasformando così un’area economicamente depressa in una zona vivace e attiva, e questo è un fattore di grande importanza sociale.
–           realizzare un’enorme quantità d’infrastrutture e di opere pubbliche (rete stradale, fognaria, acquedotto, illuminazione stradale, fontane, ecc.) predisposte per un’intera città di 50 mila abitanti, che poi rimarrà in eredità ai comuni sui quali poggia il territorio di Zingonia.

Sebbene i traguardi del progetto non siano stati integralmente raggiunti – dovuto ai problemi rappresentati delle innumerevoli crisi che si son succedute in Italia in questi dieci anni e delle divergenze politiche dei cinque comuni sui quali poggia il terreno – Zingonia resta un’iniziativa unica nel suo genere, che non trova riscontro né in Italia né in Europa, né in altre parti del globo.”

[testo estratto da Zingonia, la nuova città]

“Zingonia resta un’iniziativa unica nel suo genere, che non trova riscontro né in Italia né in Europa, né in altre parti del globo.”

Per approfondire

Zingonia, la nuova città – testo originale edito dalla Zingonia Iniziative Fondiarie nel 1965, riedito nel 2014 da Argot ou la Maison Mobile e Marco Biraghi
G. Sinatti, Zingonia, Vecchi e nuovi abitanti, vecchie e nuove questioni, consultabile online su Academia.edu
G. Sinatti, Città senegalesi: il caso di Zingonia, in Afriche e Orienti, n.3, 2005, pp. 27-40
Zingonia a venti anni dalla fondazione, Riunione Immobiliare spa, Ferrari, Clusone, 1986
L. Airaldi, Renzo Zingone, Due casi di pianificazione urbanistica provata: il quartiere Zingone di Trezzano sul Naviglio e Zingonia, in Storia Urbana, n. 15, 1981, pp. 91-130